Quote Rosa

e dovremmo pure dire grazie?

in pieno clima di festeggiamenti in onore della donna, arriva la notizia

dell’ok da parte del governo al disegno di legge sulle quote rosa, ovvero la presenza obbligatoria per legge di una quota di donne nei consigli d’amministrazione delle aziende quotate in borsa (o non quotate ma a maggioranza di capitale pubblico) fissata al 30%,che dovrebbe entrare in vigore non senza aggiustamenti e modifiche per il 2015.

segue sonora risata da parte della sottoscritta, donna.

il problema delle quote rosa è però tutt’altro che divertente, è una questione su cui in Italia ancora si discute in astratto, mentre nel resto d’Europa ha dimostrato che, pur essendo già una prassi consolidata, non va di certo a risolvere il problema per il quale è stata posta: la parità.

partiamo dal presupposto che il 30% dei membri di un consiglio d’amministrazione è un contentino politicamente corretto che non intacca in ogni caso le delibere della maggioranza, ma al di là di questo dato facilmente constatabile, la domanda che dovrebbe sollevarsi è un’altra: come si può partendo da un principio di uguaglianza dei generi approdare ad una percentuale forzata prevista dalla legge? perchè a questo punto non inserire pure le donne in quelle ‘categorie protette’ che sono gli invalidi civili, del lavoro e di guerra, le vittime del terrorismo, le vedove e gli orfani di guerra?

e soprattutto, dov’è il moto d’indignazione popolare che si è sollevato poco tempo fa durante le manifestazioni in difesa della dignità della donna?

premetto di non essere stata una detrattrice della manifestazione “se non ora, quando?”, che se non altro ha dato voce a tutte quelle donne che nella realtà attuale dell’Italia – definita dall’illustre Paolo Guzzanti “mignottocrazia” – (a dimostrazione che il pensiero che la società sia alla deriva non è solo una fissa comunista) non hanno nè visibilità, nè degne portavoci. purtroppo però, aprendosi e chiudendosi tutto attorno ad un singolo evento, non si ottenuto altro che supportare le voci che la vedevano come una mera strumentalizzazione della donna contro il tiranno di turno.

la questione purtroppo come inizialmente detto non è di poco conto, investe tutti e dovrebbe essere attenzionata allo stesso modo da tutti, creando quel dibattito che genererebbe forse il vero obiettivo da raggiungere: l’INFORMAZIONE.il problema è a monte, ed è principalmente, ahinoi, un problema culturale: la voce dei più forti s’impone laddove vi è l’ignoranza dei più deboli, e in questo caso le più deboli sono le donne, come in altri casi i deboli sono le minoranze etniche, razziali, sociali, i diversi o diversamente qualcosa.

si fa presto a parlare di uguaglianza, di pari opportunità, ma le pari opportunità esistono solamente dove realmente ad ogni individuo di qualsiasi genere, razza ed estrazione sociale siano garantite le stesse condizioni di partenza, le stesse possibilità di fare, imparare, creare e costruire. il vero problema è che in Italia, il quid in più per riuscire ad emergere e a sfondare non è inteso come preparazione, studio e sacrificio bensì quale astuzia, lo sgomitare e l’esser il figlioccio di…

pensate il contrario?

G.G.

2 pensieri su “Quote Rosa

  1. non voglio essere invadente, e per un po’ non parlerò più. Anche se continuerò a leggere con immutato interesse. Ma le questioni sollevate, e che trovo del tutto giuste, toccano il cuore di una delle questioni decisive. Una quota, anche se rispettata, fa parità reale o mette al sicuro la detenzione di un potere abbassando la altrui spinta a cambiare? So soltanto che tutti gli Stati segregazionisti, prima di arrendersi alla parità vera risultano passati per le quote. Oggi serve credo cinquanta e cinquanta, per iniziare. Al Governo ed al Parlamento e dovunque si voti elettoralmente. Non per quota. Ma per condivisione. Con le candidature uomo-donna scelte tutti assieme. E dopo lo scossone, chi vale emerge. La donna italiana non è una specie protetta; ma più della metà del corpo elettorale. Altro che quote. O non succede niente. E poi accanto uno Stato solidale che non si mangia la donna che lavora se vuole essere anche madre. Assieme al voto a sedici anni andrebbe a gambe all’aria molto più di qualche rendita. Cambierebbe il Paese. E si può persino fare. Assieme. Donna e uomo. Una rivoluzione…. E perché no?
    Non che voglia suggerire alla Donna cosa meglio fare, altrimenti comincerei male. Questa è infatti l’opinione di un uomo, e taccio. Ascoltando.

    p.s.- non ci facciamo chiudere le bocche maschili e femminili perché c’è la “crisi”; le grandi svolte si fanno nelle crisi. E calano pure il Debito.
    mario staffaroni

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